Mi soffermerò velocemente su tre punti potrei affrontarne tanti
altri: parlo ovviamente di attacchi alla Costituzione (presidenzialismo
di fatto, violazione dell’art. 138 Cost, conflitto di interessi, sistema
elettorale, violazione dei diritti dei lavoratori ed emarginazione di
tutti i soggetti deboli donne, migranti, giovani, studenti, anziani) ma
mi soffermerò su:
1.
Sovranità statuale vs. sovranità popolare (artt.
1, 49, 50, 71 II comma 75). Parlo ovviamente dell’odioso monopolio della
rappresentanza a danno delle altre forme di democrazia. Mi riferisco
ovviamente alla democrazia partecipativa, alla democrazia diretta, alla
democrazia locale, alla democrazia di prossimità.
2.
Funzione sociale della proprietà; ruolo e funzioni
della proprietà pubblica e quindi sul tema delle privatizzazioni, della
nozione giuridica di beni comuni e loro relativa gestione (artt. 42 e 43
Cost.)
3.
Pareggio di bilancio. Dimostrare come con la
rapidissima e silenziosa approvazione della legge costituzionale di
modifica dell’art. 81 C. – mi riferisco ovviamente all’introduzione in
Costituzione del pareggio di bilancio – la rappresentanza politica abbia
mostrato la sua lontananza dai rappresentati.
1. La nostra Costituzione pur essendo incentrata principalmente sulla
democrazia della rappresentanza lascia ampi margini attuativi ad altre
dimensioni della democrazia che tuttavia negli anni sono state
progressivamente frustrate e ridimensionate.
Mi riferisco alla democrazia partecipativa, diretta e locale.
Il concetto di sovranità popolare oltre a non essere stato assorbito
dai nostri costituenti, nel monopolio della rappresentanza – mi
riferisco in particolare agli artt. 1 e 2 Cost., si basa su un
protagonismo delle comunità che non possono e non devono, secondo il
superato (strumentalizzato) concetto di società civile, trovare spazio e
soddisfazione soltanto all’interno dei partiti (proiezione appunto di
una visione chiusa e corporativistica della società civile).
E qui, lasciatemi dire, da troppo tempo, è necessario riempire di
contenuti la nozione “metodo democratico” di cui all’art. 49 – per
arrestare le degenerazioni interne ed esterne del sistema partitocratico
– ed è necessaria una riforma del sistema elettorale in senso
proporzionale, così come vuole- implicitamente- la nostra Costituzione,
al di là della strumentale dicotomia tra democrazia governante e
democrazia di indirizzo.
Non immagino una contrapposizione tra democrazia della rappresentanza
e democrazia della partecipazione ma la rappresentanza si può soltanto
migliorare, dal punto di vista qualitativo, se lascerà spazio alla
partecipazione.
Alcune proposte immediate:
a. Riforma della legge del 1970 attuativa dell’art. 75 Cost. che abbassi
i quorum di validità (50% più uno degli aventi diritto) ed elimini
troppi limiti contenutistici posti dalla giurisprudenza della Corte
costituzionale.
b. Modifica dei regolamenti parlamentari. Dare piena effettività
all’art. 71 comma 2 Cost., precedendo un percorso privilegiato per le
proposte popolari nell’iter legislativo;
c. Dare effettività all’istituto della petizione nell’iter legislativo,
anche attraverso la modifica dei regolamenti parlamentari;
d. Implementare gli istituti referendari a livello di democrazia locale:
penso a referendum approvativi, abrogativi e non soltanto consultivi e
propositivi.
e. Vigilare che la Convenzione di Aarhus in materia ambientale e di
gestione del territorio sia rispettata in tutte le sue forme da parte
dello Stato, regione ed enti locali, annullando tutte le procedure
difformi. Informazione-trasparenza, partecipazione ed accesso alla
giustizia devono costituire, tra l’altro i principi ispiratori di tutte
le politiche pubbliche e dell’azione amministrativa.
2. Dopo i processi di privatizzazione selvaggia e forzati, si è posta
sempre con maggior forza la necessità di introdurre nell’ordinamento
giuridico la nozione di bene comune, anche in attuazione degli artt. 42
Cost e 43 Cost.
Beni estranei alle logiche del mercato e del profitto. Beni
inalienabili, inusucapibili ed inespropiabili – si pensi al patrimonio
naturale e culturale ma non solo, anche alle infrastrutture ed a tutto
il sistema delle reti
Beni prevalentemente pubblici – ma non solo- per i quali piuttosto che il rapporto tra
dominus e bene, prevale il rapporto tra bene e fasce di utilità, tra bene e diritto di accesso e godimento.
Beni di appartenenza collettiva, per i quali il
dominus
pubblico viene limitato del suo potere di disponibilità in quanto ne
deve garantire soltanto l’accessibilità e la fruizione, attraverso la
costruzione di un governo pubblico partecipato; nel pieno rispetto ed
attuazione dell’art. 43 Cost che appunto parla di gestione di servizi
pubblici essenziali affidati per l’appunto a comunità di lavoratori e di
utenti.
In questo senso occorre uscire dalla logica individualistica,
escludente ed egoistica della proprietà. Lo si sta facendo, e non solo,
con la Costituente dei beni comuni.
3. Terzo punto e chiudo, anche se bisognerebbe parlare di Europa ma lo
faremo in altre occasioni, il pareggio di bilancio in Costituzione.
Costituzionalizzare il pareggio di bilancio ha significato limitare
le decisioni di spesa del Parlamento e del governo, ma anche delle
autonomie locali, soprattutto dei Comuni.
Un vero e proprio attacco allo Stato sociale. Con tagli di circa 50 mld annui per 20 anni.
I diritti sociali e i diritti civili dei cittadini non potranno
essere garantiti: il funzionamento della scuola, degli ospedali, della
giustizia, della sicurezza sono subordinati al vincolo del pareggio.
Nella nostra Costituzione, prima della modifica dell`art. 81 C. il
fine ultimo dell’ordinamento giuridico era lo Stato sociale in cui
all’uguaglianza formale si affiancava quella sostanziale.
Tale principio è stato il vero elemento caratterizzante la democrazia
del nostro Paese nel dopoguerra, principio da considerare tra quelli
supremi
che la Corte costituzionale ha sottratto alla stessa funzione di
revisione costituzionale nonché alla prevalenza del diritto comunitario
sull`ordinamento interno.
Se si modifica tale principio si modifica il sistema costituzionale:
si esercita potere costituente che però è del popolo e non del
Parlamento.
Ciò è quanto si è verificato con la modifica costituzionale e prima
ancora con la subordinazione delle politiche economiche ai principi
comunitari attraverso la legislazione ordinaria.
La proposta è la seguente: da subito presentare in Parlamento un
disegno di legge ad iniziativa popolare per la modifica dell’art. 81
Cost.: eliminare il pareggio di bilancio e dire che almeno il 50% della
spesa pubblica deve essere riservata a finanziare i diritti sociali.
Reagire alla forte compressione della capacità delle autonomie locali,
rese di fatto incapaci a far fronte alle funzioni che la Costituzione
assegna loro (art. 118 C.), e che prevede che siano integralmente
finanziate con le risorse indicate nello stesso testo dell’art. 119 C.
Ciò, in particolare, ha determinato una violazione del principio
autonomistico degli enti locali, di cui all’art. 5 C., ripreso anche
dall’art. 114 C.
La legge costituzionale che modifica l’art. 81, accogliendo con le
tipiche ambiguità italiane
i vincoli comunitari per gli Stati, parallelamente modifica anche
l’art. 119 C., ove il comma 1 è così sostituito: «I Comuni, le province,
le città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di
entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e
concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e
finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea».
In sostanza, si
costituzionalizza il patto di stabilità interno, che Napoli di recente ha derogato e la Corte de conti gli ha dato ragione.
Reagire con l’istituto dell’obbedienza civile, ogni qualvolta norme
ragioneristiche impediscano il soddisfacimento di diritti fondamentali.
Alberto Lucarelli – Presidente del comitato nazionale “Viva la
Costituzione” e docente di diritto costituzionale all’università
Federico II di Napoli